Home > Interviste > Minorenni che commettono reati sessuali. Intervista al prof. Ugo Sabatello

In tema di reati sessuali, il senso comune porta a pensare ai bambini ed agli adolescenti preva-lentemente come vittime, mentre difficilmente ci si sofferma a considerare che dei minorenni possano compiere reati simili. Questo atteggiamento è alimentato da un’attenzione mediatica centrata soprattutto sui casi di “pedofilia”, sebbene sporadicamente vengano diffuse notizie di violenze sessuali agite dal “branco” e legate allo stereotipo del gruppo di maschi adolescenti, magari drogati o ubriachi, che violenta una coetanea all’uscita dalla discoteca. Tuttavia, chi si occupa di questi fenomeni in ambito psicosociale sa che da diversi anni la letteratura scientifica si interessa ai cosiddetti “young sex offenders”, per cercare di decifrarne i profili personologici e sociali, le dinamiche intrapsichiche che conducono alla violenza, la tipologia di relazione con la vittima, ecc. Il quadro che ne emerge è senz’altro diverso e più complesso di quello stereotipico ed ha favorito lo sviluppo di modelli sempre più specifici ed efficaci di diagnosi e terapia, offrendo spunti interessanti anche per l’azione giudiziaria.
Il Prof. Ufgo Sabatello, Dirigente di Neuropsichiatria Infantile e Direttore del Master di II livello in Psi-chiatria Forense dell’Età Evolutiva presso l’Università La Sapienza di Roma, è uno dei massimi esperti italiani di questa materia ed oltre a diversi studi e pubblicazioni, ha recentemente diretto una ricerca per la validazione nazionale di uno strumento psicodiagnostico ad hoc, denominato Hare Psychopathy Checklist: Youth Version (PCL:YV). La Casa di Nilla ha avuto occasione di collaborare a tale ricerca, condividendo i dati emersi dal progetto psico-socio-educativo specialistico in favore di giovani in messa alla prova per reati sessuali, realizzato in collaborazione con il Centro di Giustizia Minorile di Catanzaro. Da questa collaborazione nasce l’intervista che pubblichiamo, che ha l’obiettivo di aiutare studiosi ed operatori del settore a meglio comprendere le caratteristiche di questi ragazzi e soprattutto quali siano le strategie di intervento più efficaci per prevenire recidive di questa tipologia di reato. Come sempre, ulteriori approfondimenti potranno nascere dalle domande dei lettori all’intervistato. (dott. Giovanni Lopez)

Intervista al Prof. Ugo Sabatello, Prof. Aggregato, Ricercatore confermato presso l’Università degli Studi di Roma “La Sapienza”. Dirigente UOS di Neuropsichiatria Infantile, si occupa di psicopatologia dell’età evolutiva e di Psichiatria Forense. Direttore del Master di II livello in Psichiatria Forense dell’Età Evolutiva; Direttore del SACRAI, servizio di assistenza, cura e ricerca nel campo dell’abuso infantile e dei minori autori di reato. Ha curato nel 2010 il volume della Cortina editrice: Lo sviluppo antisociale: dal bambino al giovane adulto. Una prospettiva evolutiva e psichiatrico-forense, oltre a numerosi articoli scientifici a livello nazionale e internazionale sui minori autori di reato.

sabatelloProfessor Sabatello, la letteratura sui minori autori di reati sessuali, i cosiddetti “Young Sex Offenders”, presenta ancora diverse zone d’ombra nel definirne un profilo psico-sociale, nonostante negli ultimi anni vi sia stato un aumento d’interesse sia da parte degli organi di informazione che della comunità scientifica. Cosa si può dire con sufficiente correttezza sugli aspetti generali di questo fenomeno? Esistono un’età d’esordio o fattori di rischio specifici? In che misura questi ragazzi sono diversi da altri adolescenti con disturbi della condotta?
Sono ragazzi generalmente meno violenti e meno esplosivi di coloro che presentano un disturbo di condotta, a volte non hanno precedenti psicopatologici e, quando li hanno, sono per di più relativi ad una difficoltà di relazione con gli altri, soprattutto se coetanei. E’ una popolazione eterogenea che va dall’insufficiente mentale che reperisce un oggetto sessuale più piccolo di lui, al ragazzo apparentemente adeguato che però si lascia coinvolgere e partecipa ad uno stupro di gruppo. L’età di esordio è, solitamente, quella adolescenziale in quanto, la pubertà, non attende che il soggetto sia o meno pronto psicologicamente a farsi carico della acquisita competenza sessuale. Da quanto abbiamo potuto vedere con le nostre ricerche su ragazzi italiani, dato che peraltro è condiviso nella letteratura internazionale, il fattore di rischio più significativo è rappresentato dall’esposizione a eccessive sollecitazioni sessuali o abusi sessuali precoci. Un altro fattore di rischio, sempre presente in adolescenza, è dato dal gruppo dei pari, dalle loro abitudini e dalla specifica “cultura di gruppo”.

Diverse ricerche sembrano confermare l’ipotesi secondo cui i giovani aggressori sessuali siano stati più esposti di altri coetanei a precedenti vittimizzazioni sessuali o a maltrattamenti subiti in famiglia . Ciò li renderebbe più a rischio di strutturare disturbi dell’attaccamento e quindi di sviluppare modalità relazionali caratterizzate da stili aggressivi, violenti e/o manipolatori. Quanto e come incidono i modelli educativi familiari in questo fenomeno?
Come già scritto l’esposizione precoce alla sessualità, l’abuso sessuale subito sono fattori di rischio significativi, meno l’esposizione alla violenza fisica o a maltrattamenti. La famiglia influisce nel senso che la famiglia dell’abusante è, solitamente, o assente o panassolutoria, tollerando o addirittura colludendo con gli atteggiamenti e i comportamenti devianti del figlio.

Le conoscenze empiriche sugli abusi sessuali perpetrati da giovani donne sembrano rilevare come queste ultime siano decisamente meno inclini a tale pratica rispetto ai coetanei maschi. Di recente, uno studio condotto dalla ricercatrice svedese Cecilia Kjellgren ha fatto, però, emergere l’ipotesi secondo cui il fenomeno al femminile potrebbe essere sottostimato , poiché “alle Autorità viene riferita solo una minoranza di casi”. Perché una simile occultazione dovrebbe riguardare prevalentemente le donne? Ragazze e ragazzi che perpetrano abusi sessuali lo fanno allo stesso modo e con le stesse motivazioni?
Non ho disponibili dati italiani su questo, ma ho comunque una precisa opinione a tale proposito. Può anche darsi che le donne siano, per educazione, ruolo sociale e biologico meno inclini a reati violenti ed anche ad abusi sessuali ma, in molti casi, questi abusi sono mascherati da forme di accudimento. Molte madri e penso alcune baby sitter che si occupano di bambini o insegnanti di sesso femminile hanno una modalità abusante di cura dei bambini, anche se il fenomeno è difficile da rilevare, mascherato come è da pratiche igieniche o sanitarie. Per i maschi l’abuso sessuale è solitamente legato ad una pulsione sessuale mentre nelle femmine abusanti ritengo siano in gioco aspetti psicopatologici o parafilici. Non voglio dire che l’atto compiuto dall’abusante maschio non sia patologico o perverso come valutazione clinica ed etica, ma solamente che è più chiaramente collegato al mondo pulsionale.

Una ricerca condotta presso il Karolinska Istitute di Stoccolma, continua a rimarcare la convinzione secondo cui, anche se i giovani autori di reati sessuali presentano fantasie ed interessi devianti, pochi soddisfano i criteri diagnostici di “parafilia” previsti dal DSM-IV. Lei ha recentemente diretto uno studio di validazione dell’intervista diagnostica “Psychopathy Checklist: Youth Version”, valutando dei casi di minori che hanno commesso reati sessuali: quali elementi ha potuto rilevare al riguardo?
Sono assolutamente d’accordo. La cosa sconcertante nei minori autori di reati sessuali è che una parte di essi non rientra in categorie diagnostiche psicopatologiche. Sembra che l’atto sia al crocevia tra perversione, psicopatologia ma anche possa essere un “atto estremo” all’interno di uno sviluppo apparentemente normale. D’altro canto, l’adolescenza, è un momento complesso per la diagnosi di parafilia, molte carte sono ancora da giocare.

Relativamente al modus operandi nella commissione di reati sessuali da parte di adolescenti, si può osservare come la cronaca riporti prevalentemente episodi agiti dal “branco” contro una sola ragazza. Ciò enfatizzerebbe una sorta di “alleanza maschile” per “liberarsi” da una pressione eccitatoria difficilmente elaborabile a livello intrapsichico e che ostacolerebbe i legami sentimentali . Cosa c’è di vero in una simile meta analisi? Quali sono le dinamiche per le quali i giovani abusanti possono agire in gruppo?
Sicuramente la lettura di Cristina Saottini è possibile e credibile. Il conflitto tra affettività e sessualità è proprio dell’adolescenza ed è un compito evolutivo riuscire a trovare una mediazione tra queste due istanze. Il gruppo ha però un comportamento diverso rispetto alla somma dei singoli. Le motivazioni che muovono un atto di gruppo a volte poco hanno a che fare con la sessualità ed anche con l’eccitazione ma, piuttosto, sono propri di altri sistemi motivazionali, quali la dominanza e supremazia (sistema agonistico) all’interno del gruppo.

Diversi studi e modelli interpretativi attribuiscono la causa di una crescente casistica di abusi sessuali commessi da giovani agli attuali stili educativi, comunicativi e di socializzazione, che favorirebbero un approccio distorto alla sessualità. Ruud Bullens ed altri autori impegnati nello studio di questo fenomeno protendono, invece, per un’eziologia legata al basso livello di empatia insito in questi ragazzi. Qual è la sua opinione al riguardo?
Trovo l’interpretazione mono causale ingenua e riduttiva. Entrambe le ipotesi e motivazioni sono significative. Per compiere uno stupro è necessario avere un’idea distorta di sessualità ma, per realizzarlo, bisogna trovarsi in uno stato che, già nel 1985, Brengman definiva di “narrow mindness” ovvero di carenza empatica, di incapacità di percepire l’altro come uguale o simile a sé.

Sebbene il fenomeno dei giovani autori di reati sessuali sia da alcuni anni oggetto di discussione anche in Italia, gli strumenti di intervento giudiziario e psico-socio-educativo appaiono ancora deboli, o per lo meno aspecifici. Il numero di denunce risulta verosimilmente sottostimato rispetto alla realtà e spesso l’intervento si espleta attraverso un progetto generico, per quanto articolato, di “messa alla prova”. Quali dovrebbero essere a suo avviso le prospettive di ricerca e di sviluppo su queste problematiche nel nostro Paese?
Viviamo in un paese in cui la ricerca in psichiatria e psicologia sociale non è sostenuta. E’ molto difficile entrare in contatto e studiare gli autori di reato, la nostra casistica di circa 50 JSO minorenni è, ritengo, unica in Italia. Ma se non facilitiamo le possibilità di ricerca e di studio su gli autori di reato sarà difficile trovare programmi trattamentali e riabilitativi adeguati. Non sono persuaso che i modelli anglosassoni o neozelandesi di trattamento siano perfettamente adeguati rispetto alla diversa caratterizzazione della nostra società civile e dei nostri sistemi educativi. Inoltre, l’eterogeneità dei JSO richiede programmi di trattamento personalizzati realizzabili e non di formule valide per tutti e in tutti i contesti. A mio avviso gli autori di reato vanno valutati e diagnosticati in modo articolato associando metodi clinici ed attuariali specifici per poi proporre progetti terapeutici non solo efficaci ma anche effettivamente (ed economicamente) realizzabili.

Ponendo l’accento sul “rischio di recidiva”, diversi studi tendono a rilevare una migliore rispondenza degli adolescenti ai percorsi di trattamento rispetto agli adulti, riducendo sensibilmente nei primi i casi in cui il reato viene commesso in futuro . In che misura questa diversa risposta al trattamento può essere imputata all’età?
L’età adolescenziale fornisce una possibilità reale di intervento e di terapia, è un secondo processo di definizione della propria identità che per importanza è paragonabile ai primi anni di vita, rappresenta una discontinuità rispetto alla vita precedente e non solo una continuità. Le opportunità di cura sono, quindi, sensibili e significative anche perché, a differenza dell’adulto, spesso le caratteristiche della personalità non sono ancora definite e molto si può fare. Inoltre, come già detto, il Sexual Offender adulto ha solitamente delle caratteristiche anche criminologiche (vittime prescelte, modus operandi, etc) definite mentre tutto ciò è molto meno frequente in un adolescente in cui, comunque, l’aspetto situazionale e ambiaentale ha una grande importanza.

Abbiamo finora parlato di minorenni che commettono reati sessuali, è altresì possibile tracciare un profilo di massima delle vittime? Esistono dei fattori di rischio individuali e/o contestuali che espongono alcuni più di altri a questa forma di vittimizzazione?
A differenza degli adulti, che hanno spesso vittime con caratteristiche specifiche, i JSO scelgono vittime per lo più per motivazioni situazionali ed è difficile una scelta specifica che è presente solo nelle situazioni più disagiate e più gravi dal punto di vista psicopatologico e prognostico. Le caratteristiche generali delle vittime sono di essere più deboli (per età, sesso, ruolo o per tutte queste caratteristiche insieme) dei loro abusatori e di essere in una situazione di insufficiente protezione e monitoraggio da parte degli adulti. Ciò non significa che, purtroppo, anche in situazioni ottimali di tutela, sia possibile una vittimizzazione come evento imprevedibile ed eccezionale.

Ragionando in termini di prevenzione primaria e secondaria, quali ritiene dovrebbero essere gli atteggiamenti, le strategie e gli strumenti che la “comunità degli adulti-educatori” dovrebbe assumere per far fronte al fenomeno degli abusi sessuali commessi da minorenni?
Come in tutti i fenomeni multi determinati le risposte possono essere diverse. Sarebbe importante e protettivo diffondere una cultura laica e serena sulla sessualità che è molto diversa dalla cultura oggi dominante in Italia; l’iperesposizione alla sessualità e alla pornografia poco ha a che fare con una cultura del genere ma è, piuttosto, espressione della profonda malafede e ipocrisia del mondo degli adulti che da un lato eccita e dall’altro proibisce. Oltre ad una educazione alla sessualità dovrebbe essere diffusa una cultura della non violenza e del rispetto dell’altro ma, anche, l’abitudine e la capacità ad autoascoltarsi e autodeterminarsi, sapendo accettare le interazioni piacevoli e rifiutare, sin da subito, quelle spoiacevoli. Su questo, anche su questo, la possibile funzione e responsabilità della scuola, a partire dalle elementari in poi è assolutamente fondamentale.
Come prevenzione secondaria noi tutti sappiamo che ci sono situazioni collettive e comunitarie in cui il rischio di vittimizzazione sessuale è maggiore. Dovremmo avere il coraggio di riconoscerlo e di contrastarlo.


Letture consigliate dal prof. Sabatello

– MC SETO, ML LALUMIERE, What is so special about male adolescent sexual offending? A review and test of explanations through meta-analysis, Psychological bulletin, 2010;
– MC SETO, JK MARQUES, GT HARRIS, M CHAFFIN, Good science and progress in sex offender treatment are intertwined: A response to Marshall and Marshall, 2007;
– MC SETO, HE BARBAREEPsychopathy, treatment behavior, and sex offender recidivism, Journal of interpersonal violence, 1999.

Poni le tue domande al Prof. Ugo Sabatello: conloquia@lacasadinilla.it

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