Home > Interviste > La traumatizzazione psicologica nei casi di violenza sessuale contro bambini.

Una corretta ed approfondita valutazione diagnostica degli esiti di esposizioni a fenomeni di violenza sessuale e/o di gravi maltrattamenti contro bambini o adolescenti è un passo fondamentale nei processi di cura e protezione in favore delle vittime. L’aggiornamento scientifico ed il confronto tra esperienze diverse rappresentano, pertanto, uno strumento importante e necessario affinché le professionalità e le organizzazioni deputate a questo delicato scopo possano sviluppare modelli d’intervento basati su criteri rigorosamente validati e dunque, verificabili e comparabili. Le metodologie e le tecniche di diagnosi e di trattamento sono, infatti, soggette a continue evoluzioni, che traggono fondamento dalla ricerca e dalla pratica clinica, sviluppate dalla comunità scientifica nazionale ed internazionale.
In questo contesto, va anche tenuto in considerazione che la diagnosi di traumatizzazioni derivanti da sospetti casi di abuso sessuale pone peculiarità specifiche, legate al fatto che la sintomatologia post-traumatica è aspecifica e che, quindi, non esistono chiari ed inequivocabili segni comportamentali riconducibili ad esperienze sessuali improprie da parte di minorenni. Altrettanto peculiari sono i fenomeni di resilienza, dove bambini o ragazzi certamente esposti a vittimizzazioni sessuali, non sviluppano compromissioni comportamentali clinicamente rilevanti. Il rischio di errore da parte di chi valuta è, dunque, spesso in agguato, con immaginabili rischi per il minore sia in caso di falsi positivi che di falsi negativi.
Con queste consapevolezze, abbiamo voluto di rivolgere un’intervista, centrata sulla traumatizzazione da violenza sessuale e maltrattamento nell’infanzia ed nell’adolescenza ad un Centro “gemello”, ovvero il Centro Specialistico Provinciale contro i maltrattamenti all’infanzia – Il Faro, che opera nell’ambito dell’Azienda Sanitaria della provincia di Bologna. Si tratta di una realtà certamente avanzata, che da diversi anni opera con professionalità nello stesso ambito di intervento de La Casa di Nilla. Il confronto con questa esperienza ha fornito importanti spunti di sviluppo delle metodologie di diagnosi e trattamento, che meritano di essere condivise con tutti gli operatori del settore. (dott. Giovanni Lopez)

Intervista all’équipe del Centro specialistico Il Faro di Bologna. Nato nel 2002, Il Faro è frutto di una convenzione tra vari Enti pubblici (Provincia e Comune di Bologna, Azienda USL di Bologna e di Imola, Azienda Ospedaliero-Universitaria S. Orsola, Aziende dei Servizi alla Persona della provincia). Al suo interno lavora part-time un’équipe multidisciplinare di professionisti delle Aziende Sanitarie composta da due psicologhe (Mariagnese Cheli e Maria Elena Montenegro), un neuropsichiatra infantile (Cosimo Ricciutello), un’assistente sociale (Francesca Pincanelli), un educatore professionale (Luca Degiorgis), una pediatra (Luciana Nicoli) e una ginecologa (Valeria Arbizzani). Il Centro ha pubblicato diversi testi attinenti al tema dell’intervista reperibili all’indirizzo internet: www.ausl.bologna.it.

Come si manifesta, a vostro parere, una traumatizzazione sessuale in un bambino o in un adolescente? Esistono segni comportamentali che permettono di riconoscerla? Quali sono gli strumenti più adatti a diagnosticarla?
Non esiste a nostro avviso un’unica modalità espressiva correlata a una condizione di traumatizzazione sessuale. Il continuum si pone tra modalità di funzionamento internalizzanti o esternalizzanti. Il nodo cruciale, per la salute mentale del soggetto in età evolutiva, riguarda l’integrazione dei processi psichici sottesi allo sviluppo e la possibilità di investire fiduciosamente sulla realtà esterna sperimentando esperienze riparative.
Piuttosto che parlare di segni comportamentali preferiamo fare riferimento a manifestazioni cliniche come espressione di un funzionamento post-traumatico, ed in questo senso facciamo riferimento alla prospettiva del Trauma Complesso come disturbo dello sviluppo (National Child Traumatic Stress Network).
A partire da un approccio multidisciplinare che ci contraddistingue, in genere differenziamo due livelli diagnostici entrambi necessari: quello di base composto dall’anamnesi sociale, dall’osservazione clinica dei legami familiari e dalla valutazione del funzionamento psicologico condotta con strumenti standardizzati; l’altro livello è specifico sul funzionamento post-traumatico (TSCL di Briere, Scale sulla dissociazione di Putman, etc.)

Quali sono i fattori e gli eventi che possono favorire l’insorgenza di una traumatizzazione psicologica in un bambino o in un adolescente esposto a maltrattamento? Specificamente, cosa si intende per “trauma complesso”?
Tra i fattori e gli eventi che nella nostra esperienza clinica abbiamo individuato come maggiormente traumagenici abbiamo la rottura dei legami familiari (abbandono e separazione precoce) e l’esposizione a tutte le forme di maltrattamento precoci, croniche, gravi e reiterate nel tempo, nell’ambito delle relazioni di cura primarie. L’assistere a violenza domestica e la grave trascuratezza, nella nostra popolazione clinica, si sono rilevate forme di maltrattamento particolarmente dannose per lo sviluppo.
Il Trauma complesso è per noi un’utile cornice di riferimento, diagnostica ed empirica, per inquadrare i complessi esiti sullo sviluppo delle precoci esperienze sfavorevoli, quali l’esposizione ad un ambiente maltrattante, e valutarne il conseguente danneggiamento, non sempre altrimenti spiegabili. Noi lavoriamo con casi molto complessi, ci riferiamo a esperienze plurime di maltrattamento in età precoce che interferiscono in modo pervasivo sulle funzioni dello sviluppo psicologico.

Anche quando sono vittime delle stesse tipologie di abuso sessuale, non tutti i bambini sviluppano un trauma. Cosa rende alcuni di essi “resilienti”?
La resilience per noi è una sorta di risultanza “ecologica”: è strettamente connessa alla presenza di fattori di protezione/risorse individuali (es. temperamento del bambino, salute) e ambientali ad es. poter disporre di almeno un caregiver protettivo e di adulti esterni soccorrevoli, possibilità di vivere esperienze emozionali e affettive correttive in contesti riparativi di tipo educativo e sociale (la scuola svolge un ruolo importante in tal senso), poter accedere a servizi e a cure tempestive e competenti, adottare (ed educatore gli adulti di riferimento a) un approccio orientato a far emergere e a valorizzare le competenze piuttosto che concentrare l’attenzione solo sui “deficit”.

Cosa è esattamente la “vittimizzazione secondaria”? Può accadere che un bambino sviluppi segni comportamentali tipici di una traumatizzazione anche senza aver subito violenza sessuale o altre forme di grave maltrattamento?
La vittimizzazione secondaria può, a nostro avviso, essere di due tipi:
a) istituzionale: quando il sistema dei servizi (inclusa l’Autorità Giudiziaria) non è integrato ma bensì “dis-integrato” ed espone il bambino a fattori di rischio determinati dall’inadeguatezza degli interventi (es. ascolti molteplici e impropri in ambito giudiziario, sociale e clinico, non fornire le cure necessarie o farlo con ritardo, ecc.).
b) individuale, come effetto secondario dell’abuso: può accadere che la vittima si esponga a situazioni di rischio ambientale o comportamenti auto o etero lesivi (es. divenire vittima/autore di bullismo, devianza, tossicodipendenza, abuso, ecc).

Quali effetti può produrre sullo sviluppo psichico di un bambino o di un adolescente il coinvolgimento in un procedimento giudiziario innescata da una falsa denuncia di violenza sessuale?
Riprendendo il contenuto della prima risposta possiamo dire che non è possibile associare in maniera deterministica la presenza di segni/effetti comportamentali tipici ad un esperienza di traumatizzazione, in quanto è per noi fondamentale la valutazione clinica e, in ogni caso, multidisciplinare del funzionamento post traumatico del soggetto.
E’ certamente auspicabile che il bambino non sia mai vittima di una falsa denuncia. D’altronde, gli effetti che può produrre sullo sviluppo psichico dipendono da molteplici variabili (fattori di rischio e di protezione). Inoltre, teniamo presente che le ‘’false denunce’’ si riscontrano frequentemente in contesti già sfavorevoli per lo sviluppo.

Un abuso sessuale agito senza violenza può ugualmente risultare traumatico per un bambino o un adolescente? Può, invece, accadere che il bambino viva come “piacevole” una simile esperienza?
Siamo convinti che l’abuso sessuale nell’infanzia sia sempre un’esperienza sopraffacente il mondo esperienziale del bambino, delle sue capacità di difesa e di comprensione dell’esperienza stessa, e che quindi al di là delle modalità più o meno seduttive con cui viene agito, costituisca sempre un attacco confusivo alla personalità del soggetto in età evolutiva, quindi una grave forma di violenza psicologica. In particolare, nei casi in cui l’autore è una figura vicina al bambino, una persona di cui il bambino si fida, c’è sempre un tradimento di tale fiducia (Ferenczi la chiama confusione dei linguaggi. Raccomandiamo una rilettura di tale importante contributo). D’altronde le origini dell’incesto e della pedofilia risalgono al periodo primitivo della società patriarcale, quando i maschi esercitavano un dominio assoluto sulle donne e sui bambini, in generale sui membri della famiglia che comprendeva anche il diritto sessuale del padre, dei figli maschi (e dei nobili maschi) sulle figlie e sui bambini. Si tratta, quindi, di un comportamento prevaricante che viola la libertà personale.
Differenti considerazioni riguardano l’ambito delle esperienze legate alla naturale curiosità sessuale tra pari/coetanei.

Nel 1983 Ronald Summit descrisse la “sindrome di adattamento del bambino sessualmente abusato”, che tuttavia non è mai stata annoverata come tipologia diagnostica. Cosa può dirci di questo fenomeno?
Non conosciamo Ronald Summit e la sua sindrome. Possiamo, tuttavia, aggiungere che nella nostra esperienza clinica riscontriamo l’iper-adattamento come strategia difensiva, che consente al bambino di sopravvivere all’esperienza traumatica stessa . In questi casi, è possibile parlare di “pseudo-adattamento” in cui il bambino non sviluppa una capacità di controllo sulla realtà che li circonda, bensì attiva un adeguamento passivo di dipendenza e di compiacenza.

Quando un minorenne che non abbia l’età giuridica del consenso decide di avere rapporti sessuali, quali considerazioni si possono fare in merito agli effetti di questa esperienza sul suo sviluppo psico-affettivo e sessuale?
Come già ribadito, riteniamo necessario distinguere la normale esperienza sessuale tra coetanei dall’abuso che implica violenza, coercizione, disparità di potere, tradimento della fiducia, violazione dello spazio intimo psicologico e fisico.
Dal punto di vista clinico, il consenso offerto con consapevolezza è frutto di un processo di maturazione affettivo, emotivo e fisico che non dipende affatto dalle disposizioni legislative.
Riteniamo che sia sempre importante collocare l’evento esperienziale all’interno della storia peculiare del soggetto. Se una ragazzina si espone a frequenti esperienze sessuali tra pari, come risultanza di una sessualizzazione traumatica o di un tentativo di cercare prossimità a fronte di un sé mortificato, è evidente che gli effetti di questa esperienza sul suo sviluppo psico-affettivo e sessuale saranno diversi da quelli di una coetanea che sta semplicemente cercando di proseguire nella crescita.

L’esposizione a scene di violenza domestica o a visione di materiali pornografici, può comportare effetti disturbanti sullo sviluppo psico-affettivo di bambini e preadolescenti?
La violenza domestica e la visione di materiale pornografico sono due esperienze tra loro molto diverse. La prima è una delle forme di maltrattamento più devastanti sullo sviluppo psicologico del bambino; la seconda, la cui gravità dipende dall’età dell’esposizione e dal grado di maturazione del soggetto, può essere un’esperienza traumatica che incide sull’equilibrio psicologico, in particolare quando è associata ad ambiente di crescita trascurante e/o violento. In ogni caso va collocata e letta nel peculiare contesto ambientale nella quale accade.

Quali tipologie di intervento psico-sociale offrono la migliore garanzia di efficacia nel trattamento di traumatizzazioni di bambini o adolescenti?
In questi casi è necessario predisporre contesti di intervento flessibili e multi-level (prospettiva ecologica di Bronfenbrenner). Il primo passo è assicurare un ambiente protettivo. Non si può curare se non c’è protezione.
E’ importante coinvolgere la scuola e i care giver nel trattamento del bambino, proporre loro interventi psico-educativi poiché gestire il trauma non è facile e in molti casi le figure genitoriali sono a loro volta reduci da esperienze traumatiche non elaborate o dotate di strategie di coping inefficaci. In molti casi l’intervento terapeutico è un obiettivo da raggiungere. Sono da prediligere esperienze riparative di tipo sociale, laboratori esperienziali di gruppo a carattere terapeutico (in particolare con adolescenti) che rafforzino la capacità di investire nel mondo esterno. Noi abbiamo costituito una Onlus (L’Isola che c’è) per integrare gli interventi. Abbiamo avviato un laboratorio teatrale per bambini “Facciamo che…” ed uno a carattere terapeutico “Esploriamo il nostro corpo e le nostre emozioni” rivolto a pre-adolescenti.


Letture consigliate dal Centro Il Faro

– CARETTI, CAPRARO; Trauma e Psicopatologia. Un approccio evolutivo-relazionale. Astrolabio, 2008.
– COOK, BLAUSTEIN, SPINAZZOLA; Complex Trauma in Children and Adolescents, White Paper, 2003. – COURTOIS, FORD, Treating Complex Traumatic Stress Disorders. The Guilford Press, 2009.
– DI BLASIO; Tra rischio e protezione. La valutazione delle competenze parentali. Unicopli, 2005.
– EDWARD, ANDA, FELITTI; Adverse childhood experiences, 2011.
– MONTECCHI; Dal bambino minaccioso al bambino minacciato, Franco Angeli, 2005.
– IL FARO; Informazioni per i cittadini, www.asul.bologna.it

Poni le tue domande al Centro Il Faro inoltrandole all’indirizzo: conloquia@lacasadinilla.it

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