Home > Interviste > Alienazione genitoriale. Intervista alla prof.ssa Cavedon

Da qualche anno, anche in Italia, il mondo delle scienze psicologiche e di quelle giuridiche ha iniziato a confrontarsi con la “La Sindrome di Alienazione Genitoriale” o PAS, dall’acronimo di Parental Alienation Syndrome con cui l’ha introdotta e descritta lo psichiatra americano Richard A. Gardner. Si tratta, come noto, di un disturbo psicologico che può manifestarsi nei figli minorenni, tipicamente a seguito del coinvolgimento in separazioni conflittuali non appropriatamente mediate. L’elemento cruciale della PAS è il rifiuto da parte del figlio di uno dei due genitori (l’alienato), cui fa da contraltare la coalizione con l’altro genitore, che frequentemente è la madre. Il contesto delle separazioni conflittuali in cui l’alienazione genitoriale si sviluppa evidenzia, altresì, la dimensione squisitamente relazionale dell’intero fenomeno.
Le cose, però, non sono ancora del tutto chiare e definite. Esistono, infatti, anche i detrattori della PAS, che la ritengono una mera teoria piuttosto che un’entità psicodiagnostica. Simili posizioni si fondano anche sul fatto che la PAS non sia annoverata nel DSM, ovvero il manuale statistico diagnostico dei disturbi mentali, che rappresentata il punto di riferimento della comunità psicologica e psichiatrica internazionale.
Date le implicazioni cliniche e forensi che la PAS può assumere nei sempre più numerosi procedimenti civili di separazione con dispute sull’affidamento dei figli, se non anche in procedimenti penali per presunti abusi sessuali o violenze contro minori figli di genitori separanti in conflitto, abbiamo cercato di comprendere un po’ meglio questo intricato e controverso fenomeno. L’occasione di approfondimento ci è stata dalla professoressa Adele Cavedon che, insieme alla collega Tiziana Magro, ha recentemente pubblicato un’analisi accurata e pragmatica degli aspetti salienti della PAS. (Dott. Giovanni Lopez)

Intervista alla prof.ssa Adele Cavedon, psicologa psicoterapeuta, già ricercatrice presso il Dipartimento di Psicologia Generale dell’Università di Padova. Ha scritto diversi volutmi, tra cui “La Sindrome di Alienazione Parentale (PAS): lavaggio del cervello e programmazione dei figli in danno dell’altro genitore”, edito da Giuffrè e “Dalla separazione all’alienazione parentale. Come giungere a una corretta diagnosi peritale” edito da Franco Angeli.

cavedonProfessoressa Cavedon, il DSMV, in pubblicazione per il 2013, pare non debba annoverare il disturbo da alienazione genitoriale, la cosiddetta PAS, che secondo diversi clinici e studiosi rappresenta invece un’acclarata sindrome relazionale che colpisce diversi figli di genitori in conflitto per l’affido. Qual è, allo stato, la valutazione degli esperti dell’APA ?
Io ritengo che la cosiddetta PAS non sia da considerarsi un disturbo psicopatologico, ma piuttosto un disturbo relazionale che Magro ed io abbiamo definito provvisoriamente Alienazione Parentale (PA).
In realtà, l’ambiente scientifico accreditato come l’Associazione Psichiatrica Americana (APA) e quindi il mondo anglosassone, ma anche l’Associazione Spagnola di Neuropsichiatria (AEN) osteggiano il concetto di sindrome, così come è stata definita da Gardner. Tali Associazioni sono più che mai contrarie all’ingresso della PAS nel DSM che è il “manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali codificati” e rappresenta quindi l’elenco dei disturbi mentali riconosciuti dall’intera comunità scientifica. E’, quindi, il concetto di “sindrome” che, dal mio punto di vista, è fuorviante.

Sin dalle prime descrizioni di questo disturbo, proposte da Gardner negli anni ottanta, appariva chiaro che l’alienazione genitoriale avesse una direzione relazionale preferenziale: i figli escludono prevalentemente i padri in favore delle madri. Questa dinamica rimane tutt’ora confermata? Perché?
No, non è così. Gardner stesso ribadisce più volte che il fatto che sia più frequentemente il padre vittima di PAS (continuerò a chiamarla così, giusto per capirci) non significa che ci sia una preferenza di genere nell’insorgenza della problematica. E’ semplicemente un dato statistico, dovuto al fatto che più frequentemente il genitore prioritario è la madre. Se fosse il contrario, presumibilmente ci sarebbero più padri alienanti.

Tra gli otto criteri primari che secondo Gardner definiscono la PAS, ritiene che ve ne siano alcuni che più di altri debbano destare precocemente i campanelli d’allarme di clinici e giuristi?
Ecco, bravo, parliamo di criteri, non di sintomi. Io andrei ai criteri aggiuntivi: l’allarme deve essere dato nel momento in cui il minore inizia a rifiutare o ad andare con difficoltà dall’altro genitore. Tale eventualità deve essere vagliata per capire il perché di questa opposizione, che mette in sospetto, soprattutto se prima i rapporti tra il genitore e il figlio erano positivi e non c’è stato niente di così importante da poter aver determinato il cambiamento di comportamento del minore. Si deve, quindi, risalire al comportamento del bambino prima della separazione, subito dopo e attualmente, cercando di stabilire quando e perché è avvenuto tale cambiamento. In presenza di giustificazioni non fondanti, dovrebbe scattare il campanello d’allarme che permetterebbe di fermare da subito l’istaurarsi del rifiuto.

Una delle evidenze più esplicite della PAS è che i figli, anche in età infantile, risultano autonomi nel sostenere l’alienazione del genitore “bersaglio”, quandanche l’altro genitore mostri di invitarli a desistere. Perché, dunque, si continua a ritenere responsabili di questo comportamento i cosiddetti genitori programmatori?
La PAS si costruisce in due tempi: prima inizia con la denigrazione di un genitore verso l’altro (il classico lavaggio del cervello) e, qualora questa campagna di denigrazione raggiunga il suo effetto, e non è sempre detto che ciò succeda perché ci possono essere bambini che non raccolgono tale messaggio e lo rifiutano (come avviene nella Madre Malevola), la seconda fase è determinata dal fatto che il bambino si crede un “pensatore indipendente” e ritiene perciò che è lui a pensare cosi, e non è quindi il genitore che lo ha portato a cambiare idea sull’altro genitore.

La PAS può presentarsi in tre livelli di gravità. Si tratta di una escalation graduale ed inesorabile? Come è possibile intervenire terapeuticamente in ciascun livello di PAS? Si può “guarire” definitivamente?
Credo che l’escalation sia abbastanza fisiologica e rappresenti un continuum che si attua in un tempo variabile che dipende da tanti fattori (bambino, forza della programmazione, caratteristiche del genitore bersaglio, fattori esterni alla triade, ecc.). In questo senso si può parlare di “costanti”, in quanto i comportamenti dei minori, via, via che la situazione relazionale peggiora, sono molto simili e sono riconducibili a quelli individuati da Gardner. L’intervento iniziale deve essere a mio avviso più giuridico che terapeutico: bisogna mettere un freno al comportamento del genitore indottrinante, anche con sanzioni economiche pesanti e fargli, quindi, sentire che è sotto controllo. Purtroppo, nella realtà italiana, questo non succede quasi mai e ci si accorge che c’è qualcosa che non va, solamente quando la situazione è conclamata e già quindi problematica da un punto di vista relazionale, in quanto il bambino rifiuta il genitore bersaglio. Ho visto casi di grave rifiuto in cui anche il genitore programmatore non è più in grado di intervenire e di fare in modo che il figlio vada con l’altro.

L’esposizione del figlio al conflitto tra i genitori separati o separandi in che misura può essere considerata un fattore eziologico dell’alienazione genitoriale? Quanto può incidere la presenza di un nuovo compagno del genitore affidatario/“programmatore” sull’insorgenza o sull’ingravescenza di una PAS?
Quando il figlio assiste impotente al conflitto che dura mesi o addirittura anni, a un certo punto è costretto a scegliere con chi tra i due genitori schierarsi. E’ abbastanza logico (per la sua sopravvivenza fisica e psichica) che decida di farlo con il genitore che “gli dà “maggiori garanzie”, quello cioè che lo accudisce, con il quale condivide maggiore tempo, o anche con quello più aggressivo, o quello più abile a manipolare. Molti sono i fattori che possono determinare una tale scelta, spesso inconsapevole. La figura di un nuovo compagno può assumere un ruolo importante. Se il nuovo partner è una persona equilibrata, può alle volte alleggerire il conflitto. Più spesso, però, egli ha un ruolo negativo, specialmente se asseconda il nuovo compagno nella sua campagna di denigrazione verso l’altro genitore, spesso tentando di prendere il posto del genitore alienato.

Quali sono gli strumenti che meglio possono aiutare il clinico a diagnosticare una sospetta situazione di alienazione genitoriale?
Se intende strumenti testistici, non ne esistono di specifici, ma si possono utilizzare al meglio quelli di tipo sistemico-relazionale, e cioè quegli strumenti che valutano le relazioni familiari. Ritengo che gli otto criteri primari e i quattro aggiuntivi di Gardner siano indicativi per valutare sia la gravità che la vastità del problema stesso. Tali indicatori, o almeno alcuni, sono specifici e danno una valutazione sulla problematica. Cito ad esempio “l’estensione delle ostilità alla famiglia allargata o agli amici del genitore” che in qualche modo definisce anche il livello di gravità del disturbo stesso.

Considerato l’elevato numero di separazioni conflittuali che si registra ormai anche nel nostro Paese, è possibile intervenire per prevenire a livello primario la PAS?
Bisognerebbe a mio avviso che fosse attuato un monitoraggio successivo alla separazione di genitori con figli minori, specialmente nelle separazioni pesantemente conflittuali. Questo permetterebbe di individuare già un eventuale disturbo al suo primo insorgere, se non addirittura di prevenirlo. Purtroppo questo non accade quasi mai, anzi i casi che arrivano alla conoscenza dei tecnici sono quasi sempre di gravità medio-alta e quindi di difficile risoluzione.

Gli psicologi e gli psichiatri infantili che si occupano di violenza sessuale contro bambini ed adolescenti rilevano come diversi casi di false denunce di abuso si innestino all’interno di dispute per l’affidamento dei figli. Ritiene ci siano analogie o connessioni tra questo fenomeno e la PAS?
Nel volume scritto con Gulotta, ho dedicato un intero capitolo per parlare di PAS e abuso sessuale sui minori. In tale capitolo ho indicato alcune caratteristiche che portano a differenziare un vero abuso da uno che ho definito “abuso PAS”. Una caratteristica che difficilmente si trova nel vero abuso, ad esempio è la modalità della rivelazione e del racconto: in quest’ultimo il racconto è lento, spesso reticente e il minore dimostra imbarazzo e difficoltà a raccontare. Nell’abuso PAS, al contrario egli inizia spontaneamente a raccontare l’abuso, in modo sciolto e fluido, come se recitasse una litania. Anche la tipologia del racconto risulta differente: in un caso il bambino racconta quello che è successo senza esagerare, ma anzi spesso minimizzando l’accaduto, nell’abuso PAS il racconto spesso è abnorme, esagerato, tanto da risultare poco credibile.

Quale ritiene debba essere l’atteggiamento giudiziario più conforme al “superiore interesse” del figlio quando bisogna decidere i termini di un affidamento ed è in corso una PAS di grado moderato o grave resistente agli interventi trattamentali?
Sono abbastanza contraria a sradicare il bambino dai suoi affetti e quindi all’allontanamento del minore dal genitore prioritario, a meno che questi non soffra di patologie psichiatriche che lo rendono un genitore non idoneo. Credo però che al genitore alienante debba essere dato un messaggio forte, sia attraverso consistenti sanzioni, sia attraverso un continuo monitoraggio che gli faccia capire che qualcuno lo controlla e che una sua mossa falsa verrà prontamente scoraggiata. Se le sanzioni non sortiranno i risultati sperati e l’ostilità verso l’altro genitore continuerà, ritengo che sia corretto prevedere una breve (sottolineo breve) transizione del minore in una realtà differente, che potrebbe essere la casa di un parente o una casa-famiglia. Ma questa, per me è ritenuta “l’ultima spiaggia”, da attuarsi quando un genitore, non affetto da patologie, continui imperterrito a prendersi gioco della giustizia, dell’ex compagno, ma soprattutto del minore stesso.


Letture consigliate dalla prof.ssa Cavedon

– MALAGOLI, TOGLIATTI, LAVADERA, Il bambino maltrattato, Roma, Astrolabio, 2007;
– LIEBERMAN,VAN HORN, Bambini e violenza in famiglia, Bologna, Il Mulino, 2007.

Poni le tue domande allla prof.ssa Cavedon inoltrandole all’indirizzo: conloquia@lacasadinilla.it

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